A ogni latitudine / At every latitude

A ogni latitudine / At every latitude

A ogni latitudine / At every latitude (Il vicolo, 2024).
Dalla postfazione a cura di Nadia Scappini

Per qualcuno è la frana / che portiamo dentro. Monica Guerra è un poeta a tutto tondo, che vive il poièin come una vocazione, una missione ineludibile: un poeta che lavora poco per sé e molto per gli altri. Per averne conferma, bisogna osservarla sul campo, metterne a fuoco la cultura, nel senso più pieno del termine, come capacità di col- tivare ogni relazione con lo sguardo di chi accoglie con rispetto e pazienza, privilegiando i più fragili, anziani, disabili, pazienti con problematiche psi- chiatriche. Lo stesso sguardo che accarezza e accudisce i giovani che muovono i primi passi nell’universo poesia. La sua parola va assaporata sedendosi ac- canto a lei che, senza sosta, si e ci interroga sui mi- steri e sul miracolo della vita, dandosi e dando a ciascuno il tempo di riflettere sulla propria. Solo raramente il tono si alza, le parole possono farsi pietra (come direbbe Eugenio Borgna), quando diventa necessario reagire e denunciare per superare lo scoglio dell’impotenza e del dolore. Così accade in A ogni la- titudine, una breve intensa silloge imbastita, a ferita ancora aperta, come urgente e doverosa testimo- nianza. Una testimonianza anche storica se vo- gliamo, corredata da poche intense fotografie della giovane e talentuosa Virginia Morini, ma offerta con la potenza, l’essenzialità e la sacralità della parola poetica che sa arrivare dove la lingua della quotidia- nità non potrebbe. Storica sì, ma etica soprattutto perché dissuggella la possibilità, ormai da molti disertata, di abbracciare con trepidazione ciò che pare irrimediabilmente perduto, l’umano, ciò che vive e si muove nell’altro da noi, a dire che ogni donna ogni uomo è, ontologicamente, infinito: corpo mondo mistero. Infinito come il brivido che un sorriso possa finire, che il rosario di una nonna si sgrani in una solitudine disperata, che certe parole rimaste in gola si blocchino in un groppo straziante. Accade così, in perfetta mimesi con il tempo biologico, che Monica Guerra decida di raccontare e che lo sguardo di chi legge si ritrovi a ritroso, in una sorta di climax ascen- dente, immerso nelle due alluvioni di Faenza, rispettivamente del 16 e del 2 maggio 2023. Qui a contare, in coerenza con il percorso poetico sopra accennato, è la presenza di una sostanza umana di- versa e luminosa contro quella devastata del nostro tempo “normale”, che si palesa come un diffuso ras- segnato malessere nella violenza della politica, nella sopraffazione sociale, nella superficialità delle relazioni, nell’incuria verso il creato. Il linguaggio pro- cede per balzi e sottrazioni a dire ciò che è difficile a dirsi, a smantellare la crosta che ricopre la realtà, a mettere a nudo il cuore di ciascuno invitando a una comprensione più profonda di noi stessi, a una pietas che lenisca i drammi della nostra esistenza. Il ti- tolo originario di questa silloge era Tra muri d’acqua; quale percorso interiore avrà percorso Monica Guerra per arrivare A ogni latitudine? Oltre al lavorio continuo che un poeta di valore compie sui pro- pri testi per renderli condivisibili, di tutti e per tutti, per farne testimonianza potenzialmente universale, Monica qui ha compiuto un processo di innalza- mento e di estensione di una situazione, drammatica fin che si vuole ma circoscritta, a esemplare. Ha compiuto un’azione seminale capace di dire la devastazione la tensione il terrore la perdita che comporta ogni evento simile a questo, a qualunque latitudine si verifichi, non come cosa astratta, invisibile, impalpabile, ma come verità che lacera il cuore, come sisma che scuote e scompagina. E chiede risposte.

 

Nota dell’autrice

Una prima alluvione ha colpito la Romagna tra l’1 e il 3 maggio del 2023, causando ingenti danni e alcuni morti; solo una parte della popolazione ha compreso la gravità della situazione. La seconda alluvione, av- venuta la notte tra il 16 e il 17 maggio, ha brutal- mente sconvolto la totalità degli abitanti di una vasta area della Romagna e di una parte dell’Emilia. Molti hanno perso tutto: animali, case, automobili, atti- vità. In sedici hanno perso la vita per annegamento o elettrocuzione. 26 fiumi sono esondati allagando città, frazioni e campagne, la terra è franata in oltre 50 comuni, lasciando alcuni di questi isolati per molti giorni. Tra i due disastri, lunedì 8 maggio, i centri di accoglienza (già attrezzati dalla prima alluvione) hanno ospitato una nuova ondata di famiglie eva- cuate a causa di un rogo scoppiato all’interno di una distilleria faentina.
Le fotografie sono state scattate da Virginia Morini tra il 17 e il 30 maggio, a Faenza e nella provincia di Ravenna.
Le traduzioni in lingua inglese della prima sezione sono a cura di Patrick Williamson, le altre sezioni sono state tradotte dall’autrice e da Sandro Pec- chiari.
La prima sezione A ogni latitudine è stata pubblicata sulla rivista “THE ANTONYM – Bridge to global litera- ture”, 2024.
La poesia “F.” è stata pubblicata su “Scatti di Poesia” (quorum edizioni, 2023).

Dal libro:

I

un’aria fradicia
inzuppa le radici

la resa degli alberi
senza un lamento
preme all’improvviso
dov’è l’acqua

dove l’acqua
profana le pareti

*

IV

un corpo disabitato
un tetto divelto
per qualcuno è la frana
che portiamo dentro

l’ombra distratta
dai cerchi d’acqua

anche il sole sulle cattedrali
ora è fuori tempo

Cassandra è un punto
esatto a ogni latitudine

 

 

Fotografie di: Virginia Morini. Nata a Faenza nel 2000, si occupa di arti multimediali.
Ha conseguito il master in Creative Documentary & Photojournalism presso Magnum Photos & Spéos, a Parigi, nel 2023, dopo aver terminato gli studi alla Scuola di Cinema Rosencrantz e Guildenstern di Bologna, nel 2021.
Nel 2023 il suo progetto “1103 – visioni dalla collina”, sviluppato durante il master, è stato esposto a Parigi presso la Magnum Gallery.
Nel 2022 è stata selezionata da Fotografia Europea Speciale Diciottoventicinque per la quale ha realizzato “De amore Dei” vivendo con alcune suore e indagando le tracce dei loro abusi. Il progetto è stato pubblicato nella rivista dedicata all’edizione 2022 dello stesso Festival.
Nel 2021 ha diretto il cortometraggio “Atto di Dolore”, su trauma e abuso infantile e sul rapporto tra vittima e carnefice.
Il suo lavoro “Alto-Basso” è stato esposto presso Il Vicolo Galleria Arte Contemporanea, a Cesena, nel 2021.

Fare Voci

Fare Voci

Fare Voci gennaio 2025

Fare Voci si ripresenta con un rinnovato desiderio di stare nel vivo della scrittura, nell’attimo intenso dell’accadere artistico, culturale ed umano. E lo fa iniziando con il libro “Ad ogni latitudine At every latitude”, volume scritto da Monica Guerra, illustrato dalle immagini di Virginia Morini, che si occupa dell’alluvione che ha messo in ginocchio la Romagna nel 2023. La poesia che incontra la cronaca, che si fa narrazione e riflessione, mettendo ancora di più radice nella dimensione sociale del nostro presente.

qui il link con l’intervista e alcuni testi 

A ogni latitudine / At every latitude

Nove fotografie

di Virginia Morini

 

ÎN PRAG

ÎN PRAG

Dopo due anni di laboratorio con gli studenti del  master di traduzione esce per l’Università George Emil Palade di Targu Mures una pubblicazione trilingue (italiano, inglese romeno) a cura di Bianca Han a Corina Bozedean.

Il libro sarà presentato presso l’Università il 12 dicembre 2024.

SULLA SOGLIA
ON THE THRESHOLD
ÎN PRAG
Traducători și coordonatori traduceri în limba
română: Bianca Han, Corina Bozedean
Traducători: Studenții masteranzi la Traducere Multimodală: Bereczki Anita, Boar David, Dorgo Monica, Frenț Camelia, Halațiu Eliza, Ispas Sebastian, Koposciuc Rovena, Molnar Szende, Mutu Ronaldo, Ocoș Mălin, Olah-Câmpean Karina, Pană Francesca, Rusu Emilia, Saltelechi Alexandra.
Grafică: Tobias Şileanu, student la Limbi Moderne

Aplicate
Editura University Press

 

Dalla note introduttiva dell’autrice:

LA TRIPLICE SFIDA TRADUTTIVA

“Sulla Soglia/On the threshold” è un libro nato in lingua italiana ma, quasi contestualmente alla sua stesura, è stato auto-tradotto in lingua inglese con la supervisione finale del poeta e traduttore Patrick Williamson.
In questo primo passaggio traduttivo, tra lingua d’origine e lingua inglese, le inversioni dell’ordine di parole – basti pensare all’aggettivo che sempre precede il sostantivo e di conseguenza modifica drasticamente l’impatto degli enjambement – sono stati tanto frequenti quanto gli interventi sulla sintassi – anche qui basti pensare all’obbligo di specificare i pronomi o all’assenza di particelle impersonali – tutte modifiche che hanno inevitabilmente allontanato la traduzione dalla versione originale.
Altre perdite inevitabili riguardano l’intenzionalità polisemantica molto spesso impossibile da mantenere in traduzione tra due lingue etimologicamente così distanti, ma che in parte si trova invece felicemente restituita nella successiva traduzione del libro in lingua spagnola nel 2019 e ora nell’attuale traduzione in lingua romena.
Oltre alla ricerca polisemantica, portante in questi versi, altre sono le piccole ma necessarie infedeltà che la lingua inglese ha richiesto, nella danza continua tra significato e suono.
“Quale dei due elementi anteporre?” nelle scelte traduttive è il quesito che gli studenti si sono dovuti porre; conferire la precedenza al mantenimento di un’allitterazione, infatti, può ledere l’intento comunicativo di un’autrice/autore e questo è un rischio che non si vorrebbe/dovrebbe mai correre.
A tutela del significato, sono nati alcuni slittamenti: allitterazioni liquide hanno cambiato strofa, allitterazioni dure hanno previsto la sostituzione di una consonante con un’altra, talvolta un’assonanza è venuta in soccorso a una rima impossibile da ricreare e talvolta è accaduto il contrario, tutti piccoli riposizionamenti tesi al mantenimento dell’equilibrio del testo nel suo insieme. Così, in traduzione, la ricerca di un’aderenza di suono rispettosa del senso si muove di gradino in gradino, inseguendosi tra i versi come fossero scale.
Il processo di traduzione in lingua romena è certamente fluito con più linearità rispetto a quanto fatto dalla lingua inglese, tanto da suggerire a tutti gli studenti, anche a chi non aveva dimestichezza con l’italiano, di ascoltare la lettura ad alta voce in lingua originale per agevolare la comprensione delle intenzioni sonore. Sì, perché in poesia tutto contribuisce alla costruzione del significato, anche ciò che pare legato solo alla forma, solo forma non è. Le similarità tra lingua italiana e lingua romena hanno così consentito di evitare alcuni inciampi dinanzi ai quali aveva incespicato la lingua inglese.
Quando si traduce, specialmente poesia, bisogna porsi un quesito primario: “cosa devo necessariamente salvare del testo originale?” a fronte di qualche aspetto che sarà comunque sacrificato; la scelta diviene ancora più complessa se teniamo conto del fatto che in poesia tutto significa, persino il non detto. Più volte abbiamo parlato, durante i preziosi incontri con gli studenti, di quanto il traduttore sia il migliore lettore di un testo poetico, dove non solo egli deve comprendere le scelte dell’autore, ma deve anche indagare le motivazioni per cui ha scartato tutte le possibili alternative.
Credo che l’approccio a questo progetto traduttivo abbia riservato agli studenti un iniziale scoramento, tradurre poesia infatti è ben più arduo che tradurre qualsiasi altro genere letterario: le perdite sul campo sono inevitabili ed è necessario accettare i limiti che una lingua di destinazione sempre possiede. La perfetta fusione tra forma e sostanza, indispensabile alla poesia per dirsi tale, rappresenta un obiettivo particolarmente arduo da raggiungere con qualsiasi traduzione, perché è implicito che nessuna lingua possa essere perfettamente coincidente con un’altra, per questo si parla sempre di guadagni e perdite.  Così l’illusione che la brevità dei testi agevolasse il processo si è infranta, credo, già dal primo incontro, per poi generare però un elevato grado di soddisfazione a lavoro compiuto.
Se da un lato la versione italiana si accasa più facilmente nei versi romeni, altre sono state le scelte difficili da compiere nella triangolazione italiano-inglese-romeno. Come distinguere l’arcaicità o la modernità di un verbo quando le lingue invecchiano a passi diversi? Come rendere un registro colloquiale in una lingua che in poesia normalmente non lo adotta o come mantenere l’effetto dirompente di un abbassamento – o di un innalzamento – di registro in una lingua che poeticamente non lo consente? Quale sinonimo scegliere quando quello che suona in modo più affine all’originale viene utilizzato nella lingua di destinazione in modo alquanto diverso – ad esempio puramente letterario?
La traduzione della più semplice delle parole italiane: “rosa” in una lingua nata dalla medesima radice latina, ma che nel tempo ha inglobato vocaboli di altri ceppi linguistici, crea uno stallo la cui soluzione non provocherà mai nel lettore il medesimo effetto della lingua originale. Se optiamo per la parola più simile a “rosa” utilizziamo un lessico distante dall’uso quotidiano, se utilizziamo “trandafir” otteniamo tutta altra sonorità e forma grafica in cui si perde l’essenzialità di un bisillabico.
Molte altre sono le riflessioni emerse durante questo progetto, ad esempio le forzature, così dette licenze poetiche che ognuno di noi può concedersi forse solo nella lingua madre e che non tutte le lingue accolgono con la medesima apertura, ma mi fermo qui perché vorrei lasciare al lettore la possibilità di ricercare, qualora voglia, le soluzioni più preziose che gli studenti hanno scovato per dare nuova vita ai miei versi in lingua romena.
Enormi sono i miei ringraziamenti nei loro confronti per avere intrapreso questa sfida traduttiva lavorando a versi tutt’altro che facili, e altrettanto enorme è il mio ringraziamento a Corina Bozedean e a Bianca Han che hanno curato questo progetto lungo tutto il suo farsi. A Bianca Han, in particolare, un grazie per l’organizzazione di tutti gli incontri preziosi con gli studenti, per la cura che riserva alla poesia e per i tanti progetti che stiamo realizzando assieme, un ponte “da e verso” la poesia romena.

Monica Guerra

 

 

International Multilingual Creative Writing Conference and New York Poetry Festival

International Multilingual Creative Writing Conference and New York Poetry Festival

Monica Guerra has attended the first edition of the  International Multilingual Creative Writing Conference in New York between the 13th and the 15th of November 2024 where she conducted the panel “Land and Identity” and the reading from her latest bilingual book “A ogni latitudine / At every latitude” (Il Vicolo, 2024) for the New York Poetry Festival.
The International Multilingual Creative Writing Conference is a platform to celebrate the rich diversity of human experience across cultures and a unique opportunity to foster intercultural collaboration with artists, editors, media outlets, and publishers. As a discipline, creative writing programs are now present across the Americas, Europe and other regions of the world. Universities, NGOs, private groups, and individual practitioners contributed to this growth. However, a multilingual approach is critical to unlocking the potential of intercultural cross-pollination and collaboration between practitioners with diverse cultural backgrounds. The City College of New York— Division of Interdisciplinary Studies (CCNY CWE),  The Americas Poetry Festival of New York (TAPFNY), Instituto Cervantes New York, and the University of La Rioja join forces to organize this conference.

The conference included great media partners like The Academy of American Poets, The Latino Book Review, and Hostos Review. A brainchild of City College of New York, poet and professor Carlos Aguasaco, the conference expands the horizons reached by the ten Multilingual Poetry Festivals he has co-organized with poets Yrene Santos, and Carlos Velásquez Torres.

 

Scatti di poesia

Scatti di poesia

FILLIDE, DI GIUSEPPE DI PALMA

[ non è argilla bianca il fango] di MONICA GUERRA

non è argilla bianca il fango
la moria di pesci sotto gli alberi
interrotti è sangue è melma
nello sguardo sopra i ponti
tra i muri d’acqua non resta
che rimpastare il segreto
di una bellezza frantumata
dagli arti divelti il centro esatto
di una FILLIDE perpetua

per creare contano gli argini
al di là di ogni retorica

Commento di CHIARA TROCCOLI PREVIATI
FILLIDE, città a sorpresa. Ma, in fondo, non è sempre cosi con le città invisibili di Calvino?

E’ uno sfioro di sguardo questa immagine di Fillide.  Il fotografo Di Palma gioca tra visibilità e invisibilità: dualità tra buio e luce, luce che si va sempre più stemperando verso il basso. Dalle finestre  la luce prorompe nei colori del sole al tramonto ma si incasella nelle grate nere che finiscono per imprigionarla. Tracce, blandi riflessi, corrono, ondeggiano silenziosamente sull’acqua nel fondo dell’immagine, fino a spegnersi nell’invisibile del buio che domina la scena.

Si intravede un porticato, si immaginano ( perché lo spazio tra sguardo e immaginazione e’ breve) i ponti di cui Calvino ci narra, ma ecco che interviene la sorpresa: <<I tuoi passi rincorrono ciò che non si trova fuori degli occhi ma dentro, sepolto e cancellato.>>

Appare la fanciulla fornasettiana (la sua musa, Lina ) color cielo bizantino; sbuca da un arco di luce virata seppia e ci induce al silenzio col gesto del dito sulle labbra. Pensiamo subito al << portico che continua a sembrare più gaio perché è quello in cui passava trent’anni fa una ragazza>> ( Calvino). Lei catalizza la scena, le dona mistero: del resto il suo tenere le labbra chiuse, il restar muti, sta nella radice del verbo greco μυo-ειν che da origine alla parola mistero. Sei di fronte al mistero quando resti ammutolito, non quando non comprendi.

La sorpresa di quel volto, quasi Fillide in persona, ci coglie di sorpresa!

Una zampata leonina l’incipit poetico di Monica Guerra, quasi un dardo scagliato. Una poesia tra rarefazione e speculazione, visionaria, che mi ricorda lo stile di Bartolo Cataffi, una consonanza di esiti poetici. Domina l’enigma ma poi appare il mistero che ti conquista “ Nello sguardo sopra i ponti/ tra i muri d’acqua non resta/ che rimpastare il segreto di una bellezza frantumata”.  Ecco, torna il mistero: viene evocata una FILLIDE perpetua, un infinito che nasce dalla finitezza dei frantumi. E questa ‘immagine’, venuta come in volo, resta eterna nel nostro sguardo.

“( per creare contano gli argini/ al di là di ogni retorica)”: questa conclusione mi ricorda Anselm Kiefer quando dice- Quando il caos è delimitato da un confine allora diventa un quadro-.

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