Su Altazor Revista

Su Altazor Revista

 

Sulla rivista Altazor una selezioni di miei testi tradotti in spagnolo tratti da: Nella moltitudine (Il vicolo, 2020), Sulla Soglia (Samuele Editore, 2017), Semi di sé (Il ponte vecchio, 2015) e  in coda alcuni inediti.


Traduzione Antonio Nazzaro
Revisione traduzione Elizabeth Uribe Pérez

 

El miedo es un lento morir
 

Traducción al español de Antonio Nazzaro
Revisión de la traducción: Elizabeth Uribe Pérez

da Sulla soglia (Samuele Editore, 2017)

5 DE JULIO DE 2016

se necesita tiempo para hacer todo.
También para morir. Para decir basta.
Cerrado. Marcharse.

 

4 DE JULIO DE 2016

el miedo es un lento morir
calma llana en la garganta
una extremidad a la vez
el agua que sube.

 

22 DE JUNIO DE 2016

grita distancia la maleta cerrada
senderos estelares detrás de la arista cotidiana
porque morir
es solo vivir al revés.

 

Inedito dalla raccolta Istantanee

 

h. 5:00 p.m.

las pick up se hinchan en los semáforos en su ruido de fondo de naves espaciales
los chicanos desmontan por los andamios bajo los cascos mojados
en la parada del 628 el hombre de color asedia cada minuto al reloj
en el seven eleven el indigente extiende el cartón de siempre
murmurando ¿tienes un cigarrillo?

 

h. 5:15 p.m.

yo no fumo desde hace veinte años
detrás de los vidrios una muchacha resopla entre el esmalte cocido y las quisquillas
un chihuahua en el bolso y el supervisor quizás sea de origen italiano
mientras bajo los patios se decoloran los flamencos de plástico
una madre en la cocina revuelve la ginebra en el fondo de una taza

 

h. 5:20 p.m.

cae una lluvia estival
detrás del verde el óxido en los canceles y ninguna flor en los setos
en los pliegues de un diván un hombre gordo con la cerveza en la mano
y todos corren alrededor todos sudados corren
como si lo hubieran dicho en la televisión.

(Austin, Duval St., 2017)

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su Nella Moltitudine, di Nadia Scappini

su Nella Moltitudine, di Nadia Scappini

MONICA GUERRA
non c’è nulla che non
si possa ripensare entro la geografia
dell’amore

Non è questo, forse, il verso più bello dell’opera, ma certamente è quello che meglio ne racchiude il seme e il senso. Il tono di Monica Guerra è colloquiale, perciò la sua parola va assaporata immaginandoci seduti accanto a lei che pazientemente si e ci interroga sui misteri e sul miracolo della vita, dandosi e dando a ciascuno il tempo di riflettere sulla propria. A volte la voce si alza, le parole diventano pietra, perché così è necessario per superare lo scoglio del dolore e permettersi/ci di reagire.
Se la destinazione è un incrocio, la stagione/chiusa dei tuoi nei lungo la schiena, non resta che re-impastarsi, trovare un pertugio di salvezza che ci salvi dalla resa: io devo rimpastarmi/perché la sostituzione è una strada senza uscita.Quale intimità riesce a creare la nostra poeta con questa allusione ai nei della schiena, quasi una mappa che registra brividi, sussulti, deviazioni; e quanta potenza nel verbo re-impastare, così materico, che ci mostra un movimento di mani, energico e sapiente, prima di distendere la sfoglia nella nuova piega che vogliamo dare alla nostra vita.
La vita – si sa – è percorsa da ferite di varia natura che possiamo scegliere di disinfettare e ricucire o lasciare che si infettino compromettendo la nostra salute, la nostra avventura esistenziale, azzerando ogni speranza. Ma una terza soluzione luminosa, quasi visionaria, e propositiva ci viene dai versi di Monica prima che il/ giorno scucisse una ferita da lucidare. Dunque una ferita si può anche lucidare, rendere brillante, di una ferita si può fare tesoro, punto di forza da dove ripartire. Anche se fa tanto male da sentire il dolore tornare neve, perché sempre ci vuole coraggio per tenere in piedi i giorni camuffando la leggerezza dei disastri…
A cosa serve la poesia in questo nostro percorso salvifico? A cosa serve la bellezza? Amare la poesia cos’è se non invischiarsi nella palude, farsi contaminare per lavare le ferite, farle luccicare al punto da esibirne l’incanto e la fertilità? E amare chi sceglie e impasta le parole, amare un/a poeta che significa? La domanda è posta a maddalena, ma anche a noi lettori/lettrici seduti accanto a Monica: … lo sapevi maddalena che/amare un poeta è una palude ma sottovoce è un/chiodo che lava nel fango tutte le ferite; la distanza/non è un grido ma la misura della bellezza di/uno stame dalla sua radice.
E ancora, che senso hanno allora le lacrime? Ne hanno, eccome, perché è vero che le lacrime sono solo gocce su un confine e i figli naufraghi, in ogni/dove, sono sempre figli tuoi, ma è altrettanto vero che ci aprono a quella fessura, definita da Monica passaggio che, in quanto tale, implica una scelta precisa, in questo caso uno sconfinamento oltre la soglia, dove poter scorgere la pacatezza delle margherite, il profumo di un/cespuglio che si crede inutile, per ribaltare qualche/volta i tavoli e sempre le prospettive…Sì, un cespuglio che si crede inutile può rovesciare, anzi ribaltare- che è termine più forte, efficace, quasi gergale – le prospettive. Ecco l’utilità delle cose inutili, ecco una nuova declinazione della poetica di Monica Guerra.
E qui il discorso si fa più ampio: che poi cos’è un confine, se non una mera convenzione?Così diventa inutile tentare di definirela vita, perché la vita è il miracolo di una inutile definizione. Il che non esime la poeta, e noi insieme con lei, dall’interrogarci sul nostro esserci dentro, chiamati a risponderne affinché non passi oltre senza/capire, per poi rigirarmi all’improvviso maddalena/e rimanere con lo schianto della pelle sulla/pelle e se non facessi in tempo potami una rosa,/sulla soglia, prima di salpare… La rosa, ecco un altro, estremo simbolo salvifico di resilienza, mattoncino essenziale alla poetica di cui sopra.
Certo, essere dentro la vita – ribadisce Monica Guerra –soli, talvolta anche a fianco delle persone più vicine oltre che nella moltitudine, comporta grande sofferenza, può essere peggio di un distacco (ma talvolta disertarsi, fianco a fianco, è peggio di una sparizione…) per cui può servire, per prendere fiato e ricomporsi, accovacciarsi per leccarmi le ferite come un gatto.
Solitudine, dunque, ma anche incomunicabilità, come allude in alcuni passi, sono altre possibili lacerazioni nelle relazioni umane la voce dentro il pugno/gli occhi – te lo diranno/le mie sillabe/a martello chiuse a chiave, ma non tali da non poter essere superate con uno slancio di volontà commovente se invoca: perdona la parola muta/e io che non smetto d’amare/perdona, a distanza, /tutta la distanza che resta.
Il perdono, altra parola chiave che conferma l’impressione di una poesia intrisa di religiosità, non in senso confessionale, naturalmente, né tantomeno devozionale, ma etimologico. Piuttosto in quanto poesia di ponte, di legame compenetrante e consustanziale tra uomini, creature, cose dialoganti nel ventre della natura dove, in aggiunta, una pietas diffusa e convinta afferma la dignità della donna, di ogni donna che si rifletta nella sua maddalena (alla quale si rivolge con un tu nel quale stiamo tutti noi), la sua oblatività, la sua capacità di attendere e di amare oltre e nonostante potenziali incrinature o violenze. Che nulla ha a che fare con atteggiamenti consolatori, ma nutre la sua poetica, dove si coglie una consapevolezza nuova, maturata tra le asperità, il brusio e la bellezza dell’inutile. È in questa oscurità discreta fatta di metafore/ allusioni/ rimandi/ ritmo, in questa penombra gravida che Monica, a mio parere, ha realizzato il suo percorso di disvelamento senza tuttavia rinunciare a quel “diritto all’opacità”, così ben teorizzato da Edouard Glissant.
Ha perciò ragione Francesco Sassetto nella sua appassionata e convincente prefazione a scrivere che i testi raccolti in questa opera “vengono da lontano ed arrivano a farsi poesia – verso o prosa poetica poco importa – per stratificazioni successive di dati esperienziali che trovano il proprio habitus stilistico-formale, la loro piena e nitida espressione, solo nel tempo, costruendo un dettato poetico di forte impatto emotivo, sofferto e commovente nella sua disarmata verità, nella sua dolente umanità dove – non credo di esagerare – ogni parola è, per dirla con Ungaretti, «scavata nellamia vita / come un abisso»”.
Qualcosa che mi ha fatto pensare alla bella espressione del poeta friulano Pierluigi Cappello “trimant al vivi” tremando al vivere, perché al vivere appartiene l’esperienza amorosa in ogni sua forma. E, aggiunge Monica/maddalena: non sono gli anni che restano a guardare ma la rivincita dell’Amore. Come a dire che non c’è ferita in vita che la potenza dell’amore non riesca a sanare.

Una parola merita anche la copertina del libro con una fotografia artistica di grande suggestione, opera di Virginia Morini, che acquista particolare risalto nella elegante veste tipografica de La Collana “Arcana Mundi” – al nero – de IL Vicolo. La punzonatura in argento a caldo, la caratterizzazione grafica del nome dell’Autore (vuoto per il nome e pieno per il cognome) nel carattere “bodoni”, il font per eccellenza degli architetti, rende questa pubblicazione un piccolo gioiello estetico.

 

 

 

 

preludio poetico Festival InTempo

preludio poetico Festival InTempo

Nell’ambito della rassegna “In Tempo” della Scuola di Musica Sarti a cura di Donato D’Antonio, il 9 luglio, alle 21, Il sogno romantico di Daniela Gentile, pianoforte | Luigi Santo, tromba
Musiche di Peskin, Piazzola, Gershwin
Preludio poetico con l’autrice Monica Guerra con una lettura estratta dalla sezione Maddalene della sua ultima pubblicazione Nella moltitudine (Il Vicolo, 2020).

Il “Duo Pitros” nasce con l’idea di raccontare paesaggi sonori che, attraverso l’uso delle molteplici caratteristiche dei due strumenti (tromba e pianoforte), permettono di imbastire una ragnatela su cui interpretare il vastissimo repertorio che è stato scritto per questa formazione. Capaci di trasmettere l’atmosfera giusta, il Duo coinvolge emotivamente il pubblico con un viaggio nel tempo; il loro repertorio spazia dal periodo romantico dell’800 russo fino all’amato periodo americano con Gerswhin e Bernstein, non disdegnando autori contemporanei.

Ingresso 5 euro. Prenotazione obbligatoria. Info: 0546697311, info@micfaenza.org

 

Biblioteca Comunale Giovanna Righini Ricci

Biblioteca Comunale Giovanna Righini Ricci

21 luglio 2020 ore 21.00
presentazione Nella moltitudine alla Biblioteca Comunale Giovanna Righini Ricci, Conselice.

L’autrice dialoga con Rossella Renzi.

 

da Maddalene

I.

maddalena tu cullavi qualcosa tra i seni piccoli, una bellezza che rimane, un non ti scordar di me tra le crepe, la stanza ubriaca di una primavera prematura mentre fuori dai vetri gennaio era la neve e non importa cosa nemmeno se poi io c’ero davvero, la destinazione è un incrocio, la stagione chiusa dei tuoi nei lungo la schiena

 

 

 

 

 

Serata dedicata alla poesia a Conselice con “Nella Moltitudine” di Monica Guerra