da MonicaG | Dic 11, 2017 | altre pubblicazioni, notizie
Da Atelier, alcuni inediti – Clicca qui per leggere l’articolo
Mercoledì, 06 Dicembre 2017 04:46
MONICA GUERRA – TRE INEDITI
Monica Guerra è nata a Faenza nel 1972. La sua ultima pubblicazione Sotto Vuoto (Il Vicolo, 2016) è risultata vincitrice del Premio Giovane Holden 2017. Nello stesso anno l’autrice ha vinto il Primo Premio Gutenberg intitolato a Luciana Notari, nella categoria inediti. Semi di sé, (Il Ponte Vecchio, 2015) seguiva la sua precedente pubblicazione Raggi di Luce nel Sottosuolo e il saggio intitolato Il respiro dei luoghi, scritto a quattro mani con il sociologo Daniele Callini (Il Vicolo 2014). I suoi testi sono presenti all’interno di antologie italiane e collabora con alcune riviste letterarie. Assieme a Flavio Almerighi e Aurea Bettini è fondatrice dell’associazione IndependentPOETRY che si occupa della diffusione di Poesia.
Monica Guerra
Tre inediti
*
no expectations
(Texas, July 2017)
l’aria gialla e pastosa
in attesa di pioggia
mentre lente pietre distese
frugano il velo dell’acqua
galleggia d’intorno
un silenzio precario
è questo l’inganno
il verde deserto le attese
sempre vicino qualcosa,
qualcosa che poi non succede
*
una pace distratta
fra dita di scoiattolo
e cemento, l’abbandono
è un verde selvatico
a presa rapida
una malinconia farfugliata
ma tu srotolale le ciglia
scompiglia i nidi vergini
sui seni tra i capelli
la verità freme libera
in una tana disabitata
*
Chateau Duval la strada ribolle
e questo sole scortica anche me
ma la fatica è una guado senza direzione
dove la terra beve ogni forma
in procinto di cadere
si scioglie nell’asfalto il passo
per l’eccesso d’esitazione
svivere scortica anche me
da MonicaG | Feb 14, 2017 | antologie, notizie
antologia d’amore realizzata da Samuele Editore per San Valentino 2017
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in verità qui non esiste
non esiste certo né assolutamente
esiste la vita parziale
finché esiste
sbraitante all’angolo della strada
nel centro esatto dell’impermanenza
e allora è salvare
la necessità
salvare un nodo d’amore
l’incrocio di mani che siamo stati.
Monica Guerra
da MonicaG | Dic 20, 2016 | libri
Sotto Vuoto (Il vicolo, 2016)
prefazione Gianfranco Lauretano
Le poesie di Monica Guerra sono fatte di poche, scelte parole. Nella sua voce conta molto lo spazio lasciato al silenzio, all’ascolto, alla sospensione: ad ogni componimento, spesso assai breve, quasi ad ogni verso, è come se ricominciasse da capo, ascoltando se stessa e il mondo di cui vuole parlarci. Da quando abbiamo avuto il privilegio di avere un poeta come Ungaretti che ha scritto nella nostra lingua, sappiamo bene cosa significa ciò: il poco serve a ritrovare un ampio valore. Quando un poeta scrive con parole limitate, dunque, sta cercando e donando una grande ricchezza; le sue parole sono come gli spiccioli per i poveri, un tesoro fortuito e stupendo. La metafora della pochezza e del centellinare viene detta più volte in queste poesie: «Da questo poco sospeso / tutto si fa chiaro e ogni cosa sta / nell’esattezza del proprio posto» afferma, guardando il mondo “dal terrazzo” (dove, si noti, il poco sospeso è ciò che rimette ogni cosa al suo posto); oppure, di fronte all’immensità della Russia, il paese più vasto della Terra e alle sue due sterminate capitali, non può che tornare a ricordare i suoi “minuscoli versi”: «Che non posso fare / a meno di bere dalle tue forme gioconde / un grano di bellezza / che i miei minuscoli versi / possano sgrondare / lungo le perle bianche della tua corrente». Ma è proprio a questo punto che la sua ricerca poetica, davvero molto seria e degna della massima attenzione, compie uno scatto ulteriore: nel mancamento stesso della parola e dell’altro da noi ritroviamo il massimo di noi stessi, nel bene e nel male.
Vincitore Primo Premio Giovane Holden 2017
Menzione alla XXI edizione del premio Lorenzo Montano
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da MonicaG | Feb 4, 2016 | pubblicazioni
E’ l’ora
che precede la veglia
mentre mi sfilo
dal nerobuio del tunnel
e d’un tratto
si fa natura d’intorno
tra gli schizzi di luce
e i gomitoli del sonno.
Inspiro intero
un dipano inviolato
tra i rami di senso
trame in divenire
saliscendi scoscesi
oasi i silenzi
i miei semi le parole.
Inspiro intero
quell’indifferente substrato
che ci ama
anche quando ci odia.
Perché
certi uomini
in questa caligine
mi stravedono
la punta dei piedi sottopelle
il midollo dritto il cuore.
Perché
non so il perché
in loro
uno stagliarsi limpido
un calore indefinito
un sapore buono resiliente
che s’acquatta in bocca
nell’orecchio
come un conforto nonostante
suono o saliva.
Perché
non so il perché
in ognuno
qualcosa di buono
in me certi uomini
qualcosa di ognuno.
Felice
Eppure credevo
che qui sarei stata felice
ma felice non è affatto un luogo
nemmeno un tempo
andato o da venire
felice è semplice
nei passi sublimi
con cui mi cadenzi il cuore
è nelle tue armonie
nella compostezza ballerina delle costellazioni.
Eterno presente
Scesi ripida
la scala buia
impaurita
dai meandri muti
che mi riservò la vita.
Ma il mio odore di terra
s’innalzò al cielo.
Salii verticale
la scala dorata
esilarante nella luce
che chiamai dono e
tregua di guerra (o di pace?)…
ma il mio cuore, divenuto gesso,
si sfaldò tra le dita.
Ora sto ferma qui
nell’attesa secolare
che il ciclo si compia
e non è gradino
sotto i miei passi stesi
ma miracolo del giorno:
Eterno Presente.
In provincia
Le borse della spesa
che tutti si conoscono
sottosopra l’unto cielo distratto
qui nulla accade
se non la primizia
di un pettegolezzo
qui, dove la lana fa l’inverno
e i seni nudi, a tratti, la riviera.
L’immortale
Raccatto, piegata carponi,
un filo di pensieri
tra i palmi rotti delle mani
e bevo l’aurora
per un nuovo inizio.
Un altro ancora.
Quante volte dovrò
il nascere e il morire,
il ricucire in pezzi il cuore
prima che si dischiuda
l’immortale?
L’oltre
Incauta
ho spezzato il pane
e sei sgusciato fuori
da un orlo di grano
tutto d’un pezzo
mi sei scivolato accanto,
la carezza nell’occhio
e il mio cuore in pugno.
Poi serio, così serio,
senza voce mi hai detto
di non mollare
che ne vale sempre la pena
che siamo appena
separati da un filo
che se solo potessi
un poco l’Oltre
tu saresti di nuovo
e non più la morte.
Questo rosso
che mi esplode il cielo
tra le dita
sottili degli alberi
questo mio
non desiderare
è l’essere
così diversa,
la mia riserva
di felicità.
Romagna
Questa mia polpa e nettare
tra qualche ingranaggio d’un tempo naturale
quel suo imperturbabile
scandire ciclico lunare
onde verdi come colline
e colline verdi da cui l’occhio
già s’ingegna il mare.
Della Musa
Sempre di notte
quando viene
viene
per mano la luna
si liscia le piume
invola il tempo
e io che combatto.
Sempre di notte
quando danza
danza
ai bordi del sonno
perché al di là del sempre capire
l’incertezza
è un’isola felice.
da MonicaG | Mar 19, 2016 | pubblicazioni
Il Respiro dei luoghi, (conversazioni sull’Heimat e dintorni) p.14
Penso al peregrinare di Celan che, dopo la devastazione della seconda guerra mondiale, orfano, privo di Heimat e con l’identità in frantumi si rifugiò, viaggiando da un paese all’altro, in quell’unico luogo cui autenticamente egli sentì di appartenere: la lingua, paradossalmente proprio la lingua tedesca, idioma materno ma al contempo verbo del nemico. Durante un discorso di ringraziamento pronunciato a Brema, in occasione di un premio letterario conferitogli Celan disse:
«Ho tentato di scrivere poesie: per parlare, per orientarmi, per riconoscere il luogo, dove mi trovavo…».
Prosegue, nel medesimo contesto, riconoscendo alla lingua lo status di unica sopravissuta:
«Raggiungibile, vicina e non perduta in mezzo a tante perdite, una cosa sola: la lingua».
Celan, senza più luoghi cui fare ritorno, si rifugiò nelle sue “parole-tenda”, parole in cui il senso stesso si dilata in un astruso gioco di associazioni che infrange e reinventa le regole, tracciando un criptico passaggio verso l’altro, offrendo al poeta uno spiraglio di appartenenza e di identificazione che si sostituisce alla mancanza del tutto.
Le mie poesie per P.Celan
Per P. Antschel
A te
che io nuovamente scrivo e scrivo
come volessi dire
qualcosa.
Qualcosa di me, di te
di un’obliata appartenenza
di un filo nero e una lingua livida
che non tace e m’inquieta
non il bianco e nero il tuo sguardo di sbieco
l’incostanza del cuore gli inganni.
Allora ricomincio
e non è mica di noi
ma del resto del mondo
questo inorridire
il cuore slabbrato
in catene senza fatiche
il sopravvivere senza sete
fame cordoglio
morire
di troppa presenza.
E io
E io che sono
solo un attimo di Ulisse
un capello d’oro Margarete
un filo di gomitolo o pube
E io che sono
solo un mezzo grafema
sulle rotaie del vivere quest’attimo di treno
che sono e non sono.
Nullesia
Dopo il fondale
non sempre ricordo
ma quella nullesia
altura senza tregua
ai piedi del sonno
mi snida il tempo.
da MonicaG | Giu 10, 2015 | libri
Semi di sé (Il Ponte Vecchio, 2015)
La poesia di Monica va decisa oltre le apparenze, affonda nel mistero dell’animo, alla ricerca di quella luce che sola trova e che dà senso all’umano, al vivere, all’oltre, perché il suo tavolo è tondo e lì ha amato tutti.
Il coraggio è una via nella quale ci si può sedere a metà, e le parole a volte sono di latta sotto un cielo di piombo e il poeta soffre l’impotenza del dire nel dirsi.
Questa è la poesia di Monica, il seme di sé: immersione nell’humus sacro di una terra resa fertile dalla sofferta consapevolezza, dalla determinazione di superare i limiti dell’ovvio, nella rincorsa non svenduta della verità senza compromessi, della bellezza, del sogno, e soprattutto della parola rinata, ripulita, risvegliata.