preludio poetico Festival InTempo

preludio poetico Festival InTempo

Nell’ambito della rassegna “In Tempo” della Scuola di Musica Sarti a cura di Donato D’Antonio, il 9 luglio, alle 21, Il sogno romantico di Daniela Gentile, pianoforte | Luigi Santo, tromba
Musiche di Peskin, Piazzola, Gershwin
Preludio poetico con l’autrice Monica Guerra con una lettura estratta dalla sezione Maddalene della sua ultima pubblicazione Nella moltitudine (Il Vicolo, 2020).

Il “Duo Pitros” nasce con l’idea di raccontare paesaggi sonori che, attraverso l’uso delle molteplici caratteristiche dei due strumenti (tromba e pianoforte), permettono di imbastire una ragnatela su cui interpretare il vastissimo repertorio che è stato scritto per questa formazione. Capaci di trasmettere l’atmosfera giusta, il Duo coinvolge emotivamente il pubblico con un viaggio nel tempo; il loro repertorio spazia dal periodo romantico dell’800 russo fino all’amato periodo americano con Gerswhin e Bernstein, non disdegnando autori contemporanei.

Ingresso 5 euro. Prenotazione obbligatoria. Info: 0546697311, info@micfaenza.org

 

Biblioteca Comunale Giovanna Righini Ricci

Biblioteca Comunale Giovanna Righini Ricci

21 luglio 2020 ore 21.00
presentazione Nella moltitudine alla Biblioteca Comunale Giovanna Righini Ricci, Conselice.

L’autrice dialoga con Rossella Renzi.

 

da Maddalene

I.

maddalena tu cullavi qualcosa tra i seni piccoli, una bellezza che rimane, un non ti scordar di me tra le crepe, la stanza ubriaca di una primavera prematura mentre fuori dai vetri gennaio era la neve e non importa cosa nemmeno se poi io c’ero davvero, la destinazione è un incrocio, la stagione chiusa dei tuoi nei lungo la schiena

 

 

 

 

 

Serata dedicata alla poesia a Conselice con “Nella Moltitudine” di Monica Guerra

Su Poesia del Nostro Tempo

Su Poesia del Nostro Tempo

clicca qui per l’articolo completo
a cura di Michele Paoletti, sul
POESIA DEL NOSTRO TEMPO
18 maggio 2020

 

Dalla prefazione di Francesco Sassetto

Una scrittura che rivela, sottotraccia, un fitto e variegato retroterra poetico di cui si scorgono in filigrana echi e reminiscenze – come già sottolineato – di molta letteratura del Novecento italiano, Montale e Pavese innanzitutto, come pure del linguaggio cristiano-evangelico, quale sostrato culturale e linguistico ineludibile, che affiora qua e là nell’opera – in modo anche inconscio – influenzandone alcune soluzioni lessicali. Penso ad alcuni vocaboli di ascendenza montaliana quali bufera, cigolìo, svaporare, scrutare, sgroviglia (tutti nelle maddalene) ed ad alcuni stilemi ed atmosfere decisamente pavesiane. Oltre al tema della “solitudine” – talora toccato con accenti vicini al poeta di Lavorare stanca – si ritrovano nella raccolta movenze e ritmi che riecheggiano lo scrittore piemontese.
Oltre ai due esempi prima citati si guardi anche all’incipit della penultima maddalena: «che strane tutte quelle sere randagie in cui mi giro e mi rigiro e la tua assenza è una mezzaluna che agita il lenzuolo, magari esco per strada […]» Un materiale linguistico-espressivo, dunque, che ha radici profonde nell’amalgamare moduli stilistici di varia provenienza ma del tutto assorbito nella personalissima ed affascinante voce poetica di Monica. Voce che in quest’opera percorre un difficile, solitario cammino segnato da solitudini e silenzi, assenze e distanze, ferite e fallimenti, dove sembra regnare la disfatta e il nonamore, dove nulla ritorna proprio come è stato, alla ricerca sotto pelle, in sé e nella moltitudine, di un seme di senso in una piantagione di silenzio. Per sé e per gli altri.
Un seme da raccogliere e da coltivare.

Su Letterate Magazine

Su Letterate Magazine

qui l’articolo completo su LetterateMagazine
cura di Gabriella Musetti

 

 

Il libro di Monica Guerra, “Nella moltitudine”, si apre con una serie di poesie in prosa sulle Maddalene contemporanee, giovani donne «dai seni piccoli,/ una bellezza che rimane, un non ti scordar di me/ tra le crepe». Maddalene silenziose, scomparse e da sostituire nella notte, dal respiro corto e affannoso, lacerate dalle perdite. Con un desiderio di consolazione mai esaudito, «l’alternativa alla/ tenerezza di una panchina», che brucia sulla pelle «camuffando la leggerezza dei/ disastri».
Sono Maddalene perse in un sogno che non è sogno ma distanza dalla realtà così come si presenta, inaffrontabile, ingannevole; sono giovani e meno giovani disarmate di fronte alle tragedie, e tuttavia forti di cuore, non arrese: «tappando nella bufera le falle orfane con una / colla primordiale; di padre in figlio, nella pioggia, la resina/ della tua voce». E quando tutto si disgrega e sembra dissolversi ogni senso e il tempo siede su un’altalena vuota, come quella vita presa a calci con indifferenza, nel gioco di rimandi tra la poeta e Maddalena, da un lieve profumo, da una prospettiva umile e terragna come quella delle piccole margherite di un prato, sbuca improvvisamente una immagine pacata. Perché la vita si vive con «un occhio frontale» e l’immaginazione dirige al centro di un’unica via d’uscita oppure muove senza direzioni precise, ma ogni giorno è da vivere così come accade, a giorni alterni e colpi da schivare.
Nella parte finale della sezione poetica dedicata alle Maddalene si palesa una aperta relazione tra l’autrice,Monica Guerra, e la figura antica, e sembra suggerire una sorta di esortazione gentile rivolta a ogni giovane donna a non lasciarsi travolgere dalla sofferenza e dalla pervicace inquietudine di chi a ogni costo vuole dare un senso afferrabile alle cose, agli eventi. Ma «a volte bisogna consumare bene le scarpe persino i/ piedi oltre la soglia del dolore prima di scovare, sot/ to pelle, un seme di senso in una piantagione di/ silenzio». Come a dire che è una lunga strada quella della esplorazione del senso della vita, a volte difficile e rischiosa da percorrere. Una forma di sollecitazione affettuosa, dunque, a vivere questo tempo che ci è concesso osservandolo dall’interno e scoprendo gli spazi minimi che regala.
Non sembri una prospettiva modesta e deludente a confronto di irraggiungibili sogni, è invece una scelta di misura interiore che dà spazio a soluzioni ponderate e attive, non nasconde la fragilità umana e non cede al narcisismo sconsiderato. E’ interessante che questo colloquio tra la poetessa e Maddalena recuperi tra le righe proprio questa figura archetipica della nostra cultura religiosa e letteraria antica, condensando in essa una serie di immagini di forza e fragilità che bene si possono traslare al presente, basti pensare alle innumerevoli opere a lei dedicate nella nostra recente storia culturale.