su Radio Emilia Romagna
Da il Corriere Romagna, 26 febbraio 2021
Intervista a cura di Marcello Tosi, da il Corriere Romagna, pagina Cultura e Spettacoli.
26 febbraio 2020.
Intervista a cura di Marcello Tosi, da il Corriere Romagna, pagina Cultura e Spettacoli.
26 febbraio 2020.
dalla Postfazione di Sandro Pecchiari
progetto fotografico per le sezioni del libro Virginia Morini
(…) La realtà dei versi di questo libro è in alternanza continua tra paesaggi naturali (quelli che toccano i nostri aspetti più intimi e profondi) e realtà artificiali antropizzate fino a diventare a volte disumane: il percorso da fare è riuscire ad acquisire in modo attivo (e non accettarle passivamente) e armonizzarsi in tutte queste diversità. E considerare che l’interazione rende possibile diverse sistemazioni del nostro io: riuscire ad esserci e essere compatibili o no nel confine labile delle mura. E sapere osservare con lucidità e descrivere tutte le sfumature dei luoghi nei nostri viaggi mentali. E che siamo contemporaneamente quello che siamo in un dato spazio-tempo ma anche tutto quello che avremmo potuto essere e/o avere: in fondo l’amore si avvicina a questo stato d’animo. (…)
Entro fuori le mura
Arcipelago Itaca, 2021
Oggi sulla rivista La Libellula Vaga un mio inedito tradotto da Maria Elena Blanco.
Fuori campo
quest’umano universo
senza radici riarso e fronde
antracite attorno
ai tronchi nudi
e uteri che non schiudono frutti (…)
Fuera de campo
este humano universo
sin raíces reseco y frondas
antracita en torno
a los troncos desnudos
y úteros que no dan frutos (…)
Raffinatezza. È questa la prima parola che viene in mente maneggiando il libro di Monica Guerra: formato slanciato (12X24), copertina nera satin con una bella immagine intima e inquietante al contempo, sempre in noir, di Virginia Morini, in rilevo lucidata, titoli e cornice in argento, copie numerate… La raffinatezza permane coerente all’interno del libro con una bella e ricca prefazione di Francesco Sassetto e non viene smentita dai testi di Guerra: prose poetiche e poesie colte, limate all’estremo e prive di fronzoli eppure tanto evocative. CZ
Poesia Onesta, 2020, versante.
A cura di Fabio Maria Serpilli
Da Entro fuori le mura
è l’intercapedine dieci centimetri tiepidi
che pacificano il morso dell’inverno
è un walzer lento tra i versi Šostakovič
e un caldo smisurato all’interno
i vetri s’ingegnano cristalli
– il giorno si fa in gesti –
nell’ora fredda il vuoto qui di fronte,
è la storia che ci tiene vivi, di lato
dieci centimetri di ponte
*
Chateau Duval la strada ribolle
ma la fatica è un guado senza
direzione dove la terra beve
ogni forma in procinto
di cadere si scioglie nell’asfalto
il passo per troppa esitazione
svivere scortica anche me
*
e se l’albero si converte in croce
è la paralisi del giorno
la linfa si spinge tra le pieghe
non il frutto proibito della paura
estirpa i chiodi dalla radice
Quarto repertorio di poesia italiana contemporanea
Su SPEZZARE IL PANE di Monica Guerra.
Di Danilo Mandolini
(…) L’essenza dell’amore, dell’essere insieme delle persone (si noti come, curiosamente, il sostantivo “amore” e l’avverbio “insieme” mai compaiano nell’intero arco della raccolta) pare dunque esistere e soprattutto persistere – in qualche modo sedimentandosi a dismisura nel tempo; in un tempo, appunto, che in queste poesie si muove mirabilmente tra passato, presente e futuro in parte celato – nelle minime conseguenze delle altrettanto minime azioni quotidiane che compiamo con i compagni e le compagne delle nostre vite.
È proprio in questi invisibili frangenti che si “edifica” la vita insieme, è da questi attimi che giungono a noi come nascosti che sempre si ricomincia. Perché «ricominciare è essere uomini»; perché «spezzeremo ancora il pane».
SPEZZARE IL PANE
il gesto quotidiano
di spezzare il pane
amarsi è dalle briciole
*
non so quanti metri quadri
il numero esatto delle stanze
non so dove come reinventarmi
vorrei, se posso, ancora un ultimo piano,
le tegole rosse sui tetti degli alberi
ma se chiudo gli occhi ti rivedo
tra trent’anni un supermercato
la tua mano che mi sfila piano
una borsa della spesa
*
1989
un balzo che fa trent’anni domani o a novembre
una bella storia, che a dirlo ora
rincasando con i figli si capiva
ma io e te neve sulle cime verdi diciottenni
con la radio a palla a squarciagola
dai finestrini come ali
«fottitene dell’orgoglio»
io e te mille voli la medesima valigia
conta pure, ci sono sempre anche dei morti,
un po’ di fumo alle uscite laterali e noi
complici a domandarci ancora baci
un sigaro o se domani
Con testi di:
Daniele Beghè
Monica Guerra
Dimitri Milleri
Ermanno Moretti
Sandro Pecchiari
Alfredo Rienzi
Con note critiche di
Alessio Alessandrini, Mauro Barbetti, Danilo Mandolini, e Renata Morresi
A cura di Rossella Renzi, sul nr. 77 del quadrimestrale Le voci della luna.
Sulla rivista Altazor una selezioni di miei testi tradotti in spagnolo tratti da: Nella moltitudine (Il vicolo, 2020), Sulla Soglia (Samuele Editore, 2017), Semi di sé (Il ponte vecchio, 2015) e in coda alcuni inediti.
Traduzione Antonio Nazzaro
Revisione traduzione Elizabeth Uribe Pérez
El miedo es un lento morir
Traducción al español de Antonio Nazzaro
Revisión de la traducción: Elizabeth Uribe Pérez
da Sulla soglia (Samuele Editore, 2017)
5 DE JULIO DE 2016
se necesita tiempo para hacer todo.
También para morir. Para decir basta.
Cerrado. Marcharse.
4 DE JULIO DE 2016
el miedo es un lento morir
calma llana en la garganta
una extremidad a la vez
el agua que sube.
22 DE JUNIO DE 2016
grita distancia la maleta cerrada
senderos estelares detrás de la arista cotidiana
porque morir
es solo vivir al revés.
Inedito dalla raccolta Istantanee
h. 5:00 p.m.
las pick up se hinchan en los semáforos en su ruido de fondo de naves espaciales
los chicanos desmontan por los andamios bajo los cascos mojados
en la parada del 628 el hombre de color asedia cada minuto al reloj
en el seven eleven el indigente extiende el cartón de siempre
murmurando ¿tienes un cigarrillo?
h. 5:15 p.m.
yo no fumo desde hace veinte años
detrás de los vidrios una muchacha resopla entre el esmalte cocido y las quisquillas
un chihuahua en el bolso y el supervisor quizás sea de origen italiano
mientras bajo los patios se decoloran los flamencos de plástico
una madre en la cocina revuelve la ginebra en el fondo de una taza
h. 5:20 p.m.
cae una lluvia estival
detrás del verde el óxido en los canceles y ninguna flor en los setos
en los pliegues de un diván un hombre gordo con la cerveza en la mano
y todos corren alrededor todos sudados corren
como si lo hubieran dicho en la televisión.
(Austin, Duval St., 2017)
10 Settembre 2020
Poesie di Monica Guerra tratte dalla raccolta “Nella moltitudine” (Cesena, Il Vicolo, 2020)
MONICA GUERRA
non c’è nulla che non
si possa ripensare entro la geografia
dell’amore
Non è questo, forse, il verso più bello dell’opera, ma certamente è quello che meglio ne racchiude il seme e il senso. Il tono di Monica Guerra è colloquiale, perciò la sua parola va assaporata immaginandoci seduti accanto a lei che pazientemente si e ci interroga sui misteri e sul miracolo della vita, dandosi e dando a ciascuno il tempo di riflettere sulla propria. A volte la voce si alza, le parole diventano pietra, perché così è necessario per superare lo scoglio del dolore e permettersi/ci di reagire.
Se la destinazione è un incrocio, la stagione/chiusa dei tuoi nei lungo la schiena, non resta che re-impastarsi, trovare un pertugio di salvezza che ci salvi dalla resa: io devo rimpastarmi/perché la sostituzione è una strada senza uscita.Quale intimità riesce a creare la nostra poeta con questa allusione ai nei della schiena, quasi una mappa che registra brividi, sussulti, deviazioni; e quanta potenza nel verbo re-impastare, così materico, che ci mostra un movimento di mani, energico e sapiente, prima di distendere la sfoglia nella nuova piega che vogliamo dare alla nostra vita.
La vita – si sa – è percorsa da ferite di varia natura che possiamo scegliere di disinfettare e ricucire o lasciare che si infettino compromettendo la nostra salute, la nostra avventura esistenziale, azzerando ogni speranza. Ma una terza soluzione luminosa, quasi visionaria, e propositiva ci viene dai versi di Monica prima che il/ giorno scucisse una ferita da lucidare. Dunque una ferita si può anche lucidare, rendere brillante, di una ferita si può fare tesoro, punto di forza da dove ripartire. Anche se fa tanto male da sentire il dolore tornare neve, perché sempre ci vuole coraggio per tenere in piedi i giorni camuffando la leggerezza dei disastri…
A cosa serve la poesia in questo nostro percorso salvifico? A cosa serve la bellezza? Amare la poesia cos’è se non invischiarsi nella palude, farsi contaminare per lavare le ferite, farle luccicare al punto da esibirne l’incanto e la fertilità? E amare chi sceglie e impasta le parole, amare un/a poeta che significa? La domanda è posta a maddalena, ma anche a noi lettori/lettrici seduti accanto a Monica: … lo sapevi maddalena che/amare un poeta è una palude ma sottovoce è un/chiodo che lava nel fango tutte le ferite; la distanza/non è un grido ma la misura della bellezza di/uno stame dalla sua radice.
E ancora, che senso hanno allora le lacrime? Ne hanno, eccome, perché è vero che le lacrime sono solo gocce su un confine e i figli naufraghi, in ogni/dove, sono sempre figli tuoi, ma è altrettanto vero che ci aprono a quella fessura, definita da Monica passaggio che, in quanto tale, implica una scelta precisa, in questo caso uno sconfinamento oltre la soglia, dove poter scorgere la pacatezza delle margherite, il profumo di un/cespuglio che si crede inutile, per ribaltare qualche/volta i tavoli e sempre le prospettive…Sì, un cespuglio che si crede inutile può rovesciare, anzi ribaltare- che è termine più forte, efficace, quasi gergale – le prospettive. Ecco l’utilità delle cose inutili, ecco una nuova declinazione della poetica di Monica Guerra.
E qui il discorso si fa più ampio: che poi cos’è un confine, se non una mera convenzione?Così diventa inutile tentare di definirela vita, perché la vita è il miracolo di una inutile definizione. Il che non esime la poeta, e noi insieme con lei, dall’interrogarci sul nostro esserci dentro, chiamati a risponderne affinché non passi oltre senza/capire, per poi rigirarmi all’improvviso maddalena/e rimanere con lo schianto della pelle sulla/pelle e se non facessi in tempo potami una rosa,/sulla soglia, prima di salpare… La rosa, ecco un altro, estremo simbolo salvifico di resilienza, mattoncino essenziale alla poetica di cui sopra.
Certo, essere dentro la vita – ribadisce Monica Guerra –soli, talvolta anche a fianco delle persone più vicine oltre che nella moltitudine, comporta grande sofferenza, può essere peggio di un distacco (ma talvolta disertarsi, fianco a fianco, è peggio di una sparizione…) per cui può servire, per prendere fiato e ricomporsi, accovacciarsi per leccarmi le ferite come un gatto.
Solitudine, dunque, ma anche incomunicabilità, come allude in alcuni passi, sono altre possibili lacerazioni nelle relazioni umane la voce dentro il pugno/gli occhi – te lo diranno/le mie sillabe/a martello chiuse a chiave, ma non tali da non poter essere superate con uno slancio di volontà commovente se invoca: perdona la parola muta/e io che non smetto d’amare/perdona, a distanza, /tutta la distanza che resta.
Il perdono, altra parola chiave che conferma l’impressione di una poesia intrisa di religiosità, non in senso confessionale, naturalmente, né tantomeno devozionale, ma etimologico. Piuttosto in quanto poesia di ponte, di legame compenetrante e consustanziale tra uomini, creature, cose dialoganti nel ventre della natura dove, in aggiunta, una pietas diffusa e convinta afferma la dignità della donna, di ogni donna che si rifletta nella sua maddalena (alla quale si rivolge con un tu nel quale stiamo tutti noi), la sua oblatività, la sua capacità di attendere e di amare oltre e nonostante potenziali incrinature o violenze. Che nulla ha a che fare con atteggiamenti consolatori, ma nutre la sua poetica, dove si coglie una consapevolezza nuova, maturata tra le asperità, il brusio e la bellezza dell’inutile. È in questa oscurità discreta fatta di metafore/ allusioni/ rimandi/ ritmo, in questa penombra gravida che Monica, a mio parere, ha realizzato il suo percorso di disvelamento senza tuttavia rinunciare a quel “diritto all’opacità”, così ben teorizzato da Edouard Glissant.
Ha perciò ragione Francesco Sassetto nella sua appassionata e convincente prefazione a scrivere che i testi raccolti in questa opera “vengono da lontano ed arrivano a farsi poesia – verso o prosa poetica poco importa – per stratificazioni successive di dati esperienziali che trovano il proprio habitus stilistico-formale, la loro piena e nitida espressione, solo nel tempo, costruendo un dettato poetico di forte impatto emotivo, sofferto e commovente nella sua disarmata verità, nella sua dolente umanità dove – non credo di esagerare – ogni parola è, per dirla con Ungaretti, «scavata nellamia vita / come un abisso»”.
Qualcosa che mi ha fatto pensare alla bella espressione del poeta friulano Pierluigi Cappello “trimant al vivi” tremando al vivere, perché al vivere appartiene l’esperienza amorosa in ogni sua forma. E, aggiunge Monica/maddalena: non sono gli anni che restano a guardare ma la rivincita dell’Amore. Come a dire che non c’è ferita in vita che la potenza dell’amore non riesca a sanare.
Una parola merita anche la copertina del libro con una fotografia artistica di grande suggestione, opera di Virginia Morini, che acquista particolare risalto nella elegante veste tipografica de La Collana “Arcana Mundi” – al nero – de IL Vicolo. La punzonatura in argento a caldo, la caratterizzazione grafica del nome dell’Autore (vuoto per il nome e pieno per il cognome) nel carattere “bodoni”, il font per eccellenza degli architetti, rende questa pubblicazione un piccolo gioiello estetico.