FILLIDE, DI GIUSEPPE DI PALMA
[ non è argilla bianca il fango] di MONICA GUERRA
non è argilla bianca il fango
la moria di pesci sotto gli alberi
interrotti è sangue è melma
nello sguardo sopra i ponti
tra i muri d’acqua non resta
che rimpastare il segreto
di una bellezza frantumata
dagli arti divelti il centro esatto
di una FILLIDE perpetua
per creare contano gli argini
al di là di ogni retorica
Commento di CHIARA TROCCOLI PREVIATI
FILLIDE, città a sorpresa. Ma, in fondo, non è sempre cosi con le città invisibili di Calvino?
E’ uno sfioro di sguardo questa immagine di Fillide. Il fotografo Di Palma gioca tra visibilità e invisibilità: dualità tra buio e luce, luce che si va sempre più stemperando verso il basso. Dalle finestre la luce prorompe nei colori del sole al tramonto ma si incasella nelle grate nere che finiscono per imprigionarla. Tracce, blandi riflessi, corrono, ondeggiano silenziosamente sull’acqua nel fondo dell’immagine, fino a spegnersi nell’invisibile del buio che domina la scena.
Si intravede un porticato, si immaginano ( perché lo spazio tra sguardo e immaginazione e’ breve) i ponti di cui Calvino ci narra, ma ecco che interviene la sorpresa: <<I tuoi passi rincorrono ciò che non si trova fuori degli occhi ma dentro, sepolto e cancellato.>>
Appare la fanciulla fornasettiana (la sua musa, Lina ) color cielo bizantino; sbuca da un arco di luce virata seppia e ci induce al silenzio col gesto del dito sulle labbra. Pensiamo subito al << portico che continua a sembrare più gaio perché è quello in cui passava trent’anni fa una ragazza>> ( Calvino). Lei catalizza la scena, le dona mistero: del resto il suo tenere le labbra chiuse, il restar muti, sta nella radice del verbo greco μυo-ειν che da origine alla parola mistero. Sei di fronte al mistero quando resti ammutolito, non quando non comprendi.
La sorpresa di quel volto, quasi Fillide in persona, ci coglie di sorpresa!
Una zampata leonina l’incipit poetico di Monica Guerra, quasi un dardo scagliato. Una poesia tra rarefazione e speculazione, visionaria, che mi ricorda lo stile di Bartolo Cataffi, una consonanza di esiti poetici. Domina l’enigma ma poi appare il mistero che ti conquista “ Nello sguardo sopra i ponti/ tra i muri d’acqua non resta/ che rimpastare il segreto di una bellezza frantumata”. Ecco, torna il mistero: viene evocata una FILLIDE perpetua, un infinito che nasce dalla finitezza dei frantumi. E questa ‘immagine’, venuta come in volo, resta eterna nel nostro sguardo.
“( per creare contano gli argini/ al di là di ogni retorica)”: questa conclusione mi ricorda Anselm Kiefer quando dice- Quando il caos è delimitato da un confine allora diventa un quadro-.